Una nuova nanoparticella biometrica è stata sviluppata da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dall’università Sapienza di Roma. È in grado di ingannare il sistema immunitario permanendo a lungo nell’organismo e superando i limiti attuali dei liposomi
Un nuovo tipo di nanoparticella biomimetica in grado di ingannare il sistema immunitario, permanendo a lungo nell’organismo, è stato sviluppato da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dall’università Sapienza di Roma. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Acs Nano.
Il delivery dei farmaci resta infatti una delle maggiori sfide per la comunità scientifica, soprattutto in caso di tumori schermati dal microambiente o organi difficili da raggiungere come il cervello. Particolarmente promettente su questo fronte è lo sviluppo di nanoparticelle che possano portare le molecole a destinazione.
Come funziona la nanoparticella biomimetica
ProteoDnasoma è il nome della nanoparticella biomimetica messa a punto dai ricercatori nello studio condotto in collaborazione con la University of Technology di Graz in Austria e la Utrecht University in Olanda.
È costituita da tre comparti distinti: lipidi, Dna e proteine.
Lo strato più interno è formato da un core lipidico, in cui è incapsulato il farmaco da veicolare, il quale è ricoperto da un rivestimento di Dna con una duplice finalità: funzionale e strutturale.
E’ funzionale perché il Dna serve a far esprimere una proteina dal punto di vista terapeutico, utile nella cellula bersaglio, mentre la sua carica elettrica negativa permette di far adsorbire un terzo e ultimo strato fatto di specifiche proteine plasmatiche. È proprio questo strato proteico a rendere il proteoDnasoma invisibile al sistema immunitario.
I predecessori: i liposomi
L’idea nasce dai limiti dei liposomi, finora lo strumento ideale per veicolare il trasporto di farmaci nelle terapie antitumorali, ma non privo di limiti.
Queste nanoparticelle, formate da uno o più doppi strati lipidici, offrono numerosi vantaggi rispetto alle tecnologie tradizionali, come la possibilità di ridurre le dosi dei farmaci, aumentando la selettività verso gli organi bersaglio e la riduzione degli effetti collaterali potenzialmente dannosi.
I limiti
Tuttavia, solo un numero esiguo di formulazioni liposomiali è stato approvato dagli enti regolatori ed è entrato stabilmente nella pratica clinica.
Questo a causa dei cambiamenti a cui essi vanno incontro non appena entrano in contatto con il sangue, come hanno insegnato decenni di ricerche. “Una volta introdotti nel liquido organico, si ricoprono di una ‘corona proteica’ e vengono riconosciuti dal sistema immunitario come un corpo estraneo da eliminare” aggiungono gli esperti della Sapienza. “Quello che il sistema immunitario combatte quindi non è il liposoma in sé stesso, ma proprio l’abito proteico che indossa nel sangue”.
Invisibilità
Da qui l’idea di realizzare un rivestimento proteico invisibile al sistema immunitario, per “ingannarlo” e “fargli accettare” le nanoparticelle che contengono la terapia farmacologica. “Rivestire le nanoparticelle con una corona proteica artificiale fatta di proteine plasmatiche umane permette di ridurre drasticamente la captazione da parte dei leucociti e di prolungare la circolazione delle vescicole lipidiche nell’organismo, aumentando così l’efficacia terapeutica del trattamento farmacologico” spiega Giulio Caracciolo del Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza e coordinatore insieme a Saula Checquolo della Sapienza del team di ricerca internazionale.
Le applicazioni della nanoparticella
Numerose le applicazioni che potrebbe avere la scoperta. Prima fra tutte il delivery di alcuni tipo di immunoterapia contro i tumori, che come già ricordato oggi viene spesso ostacolata dal microambiente tumorale. Ma anche altri campi di natura biomedica.