La nanotecnologia rappresenta la tecnologia su scala nanometrica, è anche una vera e propria rivoluzione dell’utilizzo della materia
Per comprendere meglio l’impatto dell’applicazione del mondo “nano” sulla nostra società, è indispensabile fare un salto indietro di oltre mezzo secolo e tornare al 29 dicembre 1959.
Alla vigilia degli anni 60, in un’aula dell’università Californiana di Caltech, il Professor Feynman predisse il futuro delle applicazioni scientifiche e tecnologiche legate allo sfruttamento dei nanomateriali.
Feynman introdusse concetti chiave a supporto dell’interazione tra nanomateriali e le matrici organiche ed inorganiche, con una lezione di poco più di un’ora dal titolo: “There’s Plenty of Room at the Bottom: An Invitation to Enter a New Field of Physics”.
L’applicazione pratica delle teorie enunciate da Feynman ha confermato che, per una serie di proprietà fisico-chimiche legate proprio alle loro dimensioni, particelle di varia natura (metalli, ossidi, plastiche, molecole biologiche) comprese tra i 10 e i 300 nanometri, riescono ad interagire con i più svariati substrati, influenzandone il comportamento e, in molti casi, migliorandone le prestazioni.
Dopo il primo decennio di “messa a punto” del sistema, i prodotti della nanotecnologia hanno invaso il mercato. Non è esagerato affermare che, la maggior parte dell’innovazione tecnologica dell’ultimo cinquantennio sia ascrivibile a prodotti nanotecnologici.
La nanotecnologia ci “circonda” e ci supporta in moltissime attività.
Alimentazione, agricoltura, edilizia, arte, elettronica, informatica, attività aerospaziale, energetica, igiene e prodotti sanitari, sono solo alcune delle applicazioni che vedono un sempre crescente utilizzo di nanomateriali.
Nonostante l’enorme rilevanza sulla produttività e sull’economia globale è indispensabile monitorare con molta attenzione le ricadute che i nanomateriali ad uso industriale possono avere sulla salute.
Nanomateriali in biologia
La valutazione del rischio dei nanomateriali ad uso industriale per la salute ambientale, animale e umana presuppone dunque che, tali materiali, possiedano delle proprietà peculiari anche nell’interazioni con le matrici biologiche a differenti livelli di complessità (cellule, organi, organismi). Un esempio è lo studio condotto sui lavoratori esposti all’asbesto (o amianto) e il loro aumentato rischio di insorgenza di mesotelioma pleurico, un tumore strettamente associato alle polveri contenenti il composto con geometria nanotubulare. Da lì, se ne intuì la pericolosità per la salute. Ma perché le nanoparticelle possono avere un così rilevante impatto sugli esseri viventi? Oltre a ragioni di natura chimico-fisica, come una maggiore stabilità nei fluidi corporei o una particolare abilità ad oltrepassare alcune barriere biologiche, le nanoparticelle hanno la capacità di attivare meccanismi interni del nostro corpo per cui vengono inglobate all’interno delle cellule. Questo meccanismo, meglio noto come “troyan horse effect”, puo’ essere influenzato dalla natura del nanocomposto ma soprattutto dalla dimensione nanometrica, condizione necessaria perché avvenga.
La natura stessa ci fornisce un esempio lampante di quanto la relazione dimensione-efficacia sia essenziale: i virus non sono altro che le nanoparticelle viventi più antiche e impattanti che il mondo conosca.
Nanotecnologia e nanomedicina
Le nanoparticelle, dunque, offrono parecchi vantaggi anche nel settore della biologia e della medicina:
- aumentano la stabilità di molti composti che circolano nel sangue;
- favoriscono il loro passaggio attraverso barriere biologiche;
- permettono l’internalizzazione di molti composti nelle cellule senza danneggiarle.
È stato però dimostrato che questi nanomateriali possono essere fonte di rischio se potenzialmente tossici o non smaltibili. Da qui l’idea di produrre nanovettori biocompatibili e biodegradabili capaci di viaggiare nel corpo, di entrare negli organi, di riconoscere il bersaglio biologico e di penetrare nelle cellule interessate a una patologia compiendo il proprio effetto terapeutico.
Per descrivere cosa può fare un nanovettore ad uso biomedico è utile immaginarcelo come una sorta di Gulliver, gigantesco in termini di capacità di incorporazione di molecole farmacologicamente attive ma “lillipuziano” in termini di interazione con le cellule bersaglio. In uno scenario del genere è possibile dunque definire un rilascio molto mirato e concentrato che possa massimizzare l’indice terapeutico riducendo gli effetti collaterali e amplificando l’effetto desiderato. L’applicazione di questo concetto è oggi consolidata nel settore della diagnostica per immagini e nel campo oncologico, usato per ridurre la tossicità di alcuni chemioterapici e nella prevenzione antibatterica. Ulteriori sviluppi molto promettenti si aspettano anche nel campo della medicina di precisione e della medicina personalizzata.
L’impatto della nanotecnologia sulla nanomedicina
Da dove ha origine lo sviluppo di nanofarmaci “intelligenti”? Strano ma vero, in questo caso specifico, possiamo affermare che la fantascienza abbia fatto da apripista alla ricerca. Nel 1963 infatti lo scrittore e fisico Isaac Asimov pubblicò il romanzo “Viaggio allucinante” nel quale immaginò la miniaturizzazione di una navicella spaziale capace di penetrare nell’organismo e di attivare alcuni processi cellulari importanti. A 60 anni di distanza, il viaggio proposto da Asimov rimane ancora una fantasia irrealizzabile? Per rispondere immaginiamoci un virus che il nostro organismo non riconosce e che scatena una pandemia. Immaginiamoci una navicella intelligente che al suo interno ha un equipaggio in grado di raggiungere un bersaglio cellulare ben preciso, penetrare fino al suo sistema di elaborazione dell’informazione genetica senza danneggiarlo, rilasciare il materiale utile per produrre una molecola che permetta finalmente alla cellula ospite di riconoscere il virus per poi attaccarlo, minimizzando il rischio dell’infezione. Questo è ciò che è successo dall’esplosione della pandemia COVID-19 fino allo sviluppo del vaccino a base di nanoparticelle contenenti l’mRNA della proteina spike del virus SARS-CoV-2. Possiamo perciò orgogliosamente dire che, dopo oltre mezzo secolo, la ricerca abbia raggiunto, se non superato, la fantascienza grazie a nanotecnologia e nanomedicina.
Nanotecnologia e nanomedicina al Mario Negri
Dagli inizi del nuovo secolo la ricerca scientifica ha approcciato il mondo “nano”. Gli approcci adottati sono stati multidisciplinari, spaziando da analisi in silico a studi in vitro e in vivo su modelli preclinici.
L’attività del Laboratorio di Nanobiologia si è focalizzata sull’interazione “bio-nano” in tre modi:
- attraverso studi di nanotossicologia, che permettono di comprendere i potenziali effetti di nanomateriali in dipendenza della dose, della via di ingresso, del tempo di esposizione e del bersaglio biologico di interesse;
- attraverso indagini di nanofarmacologia, che permettono di attestare i possibili vantaggi in termini di specificità d’organo e riduzione degli effetti collaterali di farmaci già noti, dopo unione con il nanovettore;
- attraverso il nano-imaging in grado di aumentare l’efficacia e la sensibilità di sonde per la diagnostica precoce e di combinare l’effetto diagnostico con l’effetto terapeutico.
Con l’obiettivo di controllare l’impatto dei nanomateriali ad uso industriale sulla salute dell’uomo, inoltre, i ricercatori del gruppo di Paolo Bigini (Laboratorio di Nanobiologia) e di Luisa Diomede (Laboratorio di Patologia Umana in Organismi Modello) hanno di recente sviluppato l’idea di una piattaforma sperimentale. Il progetto, chiamato Potential – Platform Optimisation To Enable NanomaTerIAL safety assessment for rapid commercialisation – ha ottenuto un finanziamento quadriennale dall’Unione europea, all’interno di un bando sulla sostenibilità digitale – Horizon Europe, Digital Emerging.
Lo sviluppo della piattaforma è stato avviato a gennaio 2023.
Paolo Bigini – Laboratorio di Nanobiologia – Dipartimento di Biochimica e Farmacologia molecolare
Editing Raffaella Gatta – Content manager